“Truk” vive e lavora ad Avigliana (TO), in Valle di Susa; viene da Castellamonte, nel Canavese, dove è nato nel 1965.
La montagna come radice, come universo incontaminato – da respirare magari attorno al fuoco di un alpeggio, o cavalcando una moto fuoristrada – non trova però posto nell’habitat strettamente metropolitano della sua arte, il grande ring dove si scontrano vettori fondamentali di forza, bene e male, vincitori e vinti.
E’ il vasto esercito degli sconfitti, naturalmente, a conferire densità emotiva alla pittura di Trucano, che si sofferma volentieri sul ritratto di grandi combattenti del passato prossimo – Gandhi, Arafat, Alì – come sul volto della plebe universale del terzo mondo, inquadrata nel suo orizzonte etnico originario, africano, sudamericano, o in una fredda piazza di Torino.

Sguardi, occhi, espressioni condensate in pochi segni essenziali, proposte con ostinata fede in decine di mostre individuali e collettive, anche negli USA e alla 54esima Biennale di Venezia curata da Vittorio Sgarbi.
“Trucano stupisce con l’energia e la vitalità delle sue opere”, dicono i critici. La sua pittura esprime “rabbia, opposizione al mondo contemporaneo e ai suoi disvalori”, ma al tempo stesso “entusiasmo, vitalità e tensione fiduciosa verso ciò che di genuino esiste e lotta per sopravvivere”.
L’espressionismo di Mauro Trucano appartiene alla nostra contemporaneità, osservata a partire dal laboratorio metropolitano, dove emerge l’impronta di “tutta una letteratura, una musica, un cinema, cresciuti in una dimensione urbana sempre più caratterizzata da un conflitto non risolto, tra l’epica della festa e la logica del sacrificio e della violenza”.
Mauro Trucano? Si rivela così: “Un artista visionario di una contemporaneità indocile, che si è ormai lasciata alle spalle le antiche chimere, ma non si è arresa al cinismo”.